PRO LOCO
ALTESSANO - VENARIA REALE APS

Le Casermette

Sorte come caserme dell’Aviazione Regia nel 1940 e poi utilizzate dall’esercito della RSI e dai tedeschi, alla fine delle ostilità vennero letteralmente occupate da famiglie senza casa che vivevano in precarie condizioni. Attorno al complesso militare, vennero allestite numerose abitazioni abusive con evidenti problemi igienici e sanitari, vere e proprie baracche costituite in parte in mattone e in parte in lamiera, i cui pavimenti in cemento poggiano direttamente sul terreno.

Un complesso isolato dal contesto del paese che presentava al proprio interno una serie di attività commerciali ed economiche gestite direttamente dagli ospiti: panetterie, alimentari e dolciumi, una latteria, una cartoleria, un barbiere, un’officina per la riparazione di biciclette, un calzolaio e un falegname. Non mancano, infine, i locali di svago: tre bar (uno dei quali è anche adibito alla vendita di vino) e un circolo ENAL i cui locali, a partire dal 1955, saranno utilizzati come oratorio da parte del parroco di Altessano.

Nel 1969 nelle casermette vivevano 1400 persone e il sindaco di Venaria in una intervista dichiarava: ”Bisogna risanare questa piaga che si trascina dal dopoguerra”. Il 29 maggio 1970, una data storica per Venaria, le scavatrici abbattono i muri delle casermette di Altessano, dopo che le ultime 133 famiglie hanno abbandonato i malsani locali in cui hanno vissuto per tanti anni. Di lì a pochi giorni l’intero complesso sarà spianato e non resterà più traccia delle cadenti costruzioni. Nel 1972 gli occupanti delle casermette, ospitati provvisoriamente in altre sistemazioni, saranno accolti nelle nuove case GESCAL.

Le casermette hanno rappresentato un aspetto della vita della città di Venaria Reale forse unico. Sono ricordate con sentimenti contraddittori: da un lato come esempio di aiuto reciproco e sostegno tra gli abitanti, dall’altro come situazioni critiche sotto l’aspetto sanitario e della promiscuità (Maschio 2020, p. 305).

Erano un terreno in gran parte coltivato e germinante a grano in quell’inizio di primavera del 1941, quando vennero gli ingegneri e i geometri a eseguire misure e tracciare linee; ed i terrazzieri cominciarono a scavare i primi fossi per le fondamenta. La notizia che da un po’ di tempo circolava ad Altessano veniva così confermata. Si era in prossimità della festa di S. Giuseppe: e fu allora che ebbi il primo contatto con l’Ing. Voglino.

Arrivavano intanto a scaglioni numerosi gli operai; in un attimo in quel grande campo di grano sorsero i cantieri, e le costruzioni furono. Condotte con ritmo veloce e serrato, tanto che nel tardo autunno il più grosso dei lavori era finito; e finito era anche il nostro campanile, che cresceva contemporaneamente alle Casermette. Ed i padiglioni delle nuove costruzioni cominciarono presto al essere popolate di soldati. Ho vissuto più di tutti ad Altessano la storia di queste Casermette. Mi trovai sul luogo molto spesso, quando era tutto un sonante, movimentato fervore di lavori, per incontrarmi coi dirigenti dei cantieri; mi trovai, quando, ripiene di soldati, venivo alla domenica a celebrare la Messa alla truppa e parlavo ai soldati, schierati nel grande cortile, o nel capannone dei garages: mi trovai ancora qualche volta al tempo della repubblichetta per interessare di qualche caso pietoso gli ufficiali della «Nembo».

Dapprima c’erano stati i soldati del Regio Esercito: ed in certi momenti furono ricolme all’inverosimile. Poi venne l’armistizio, ed allora dopo un momento d’incertezza incominciò il saccheggio. I magazzini alimentari erano ben forniti, è per due giorni continuò la processione agitata, confusa, affannata della gente che correva a far provvista. Esaurite le scorte dei viveri, e del materiale più sottomano, purtroppo ci fu chi incominciò ad asportare vetri e finestre, e tegole “e travi: ma per fortuna l’autorità riuscì ad imporsi ed a far cessare. il vandalismo che minacciava di portare tutto in rovina.

Poi nelle Casermette, passato l’intervallo torbido del saccheggio, tornarono i soldati. Dapprima fu una compagnia di SS. tedesche: gente feroce, si diceva; ma si videro poco per il paese, perché uscivano di rado, e per altra parte non fecero nessun male ad Altessano.

Dopo di loro entrò alle Casermette l’Aviazione repubblicana; giovani in gran parte educati e corretti, che non lasciarono un cattivo ricordo; poi si aggiunsero reparti della «Nembo» che di qui partivano per i rastrellamenti e le rapine.

Finalmente cessata la guerra, cominciarono a diventare abitazione di civili. Veramente già poco dopo l’armistizio alcune famiglie avevano cercato alloggio nelle Casermette. Certo ci voleva del coraggio ad entrare là dentro, sia per il pericolo dei bombardamenti, sia per la possibilità di essere obbligati a sloggiare senza nessun preavviso; ma ci fu chi ci entrò allora, e credo che qualcuna di quelle famiglie ci sia rimasta fino ad oggi. Sono coloro che avrebbero diritto al migliore alloggio. Adesso le Casermette sono popolatissime. Si può dire che sono al completo. Ma mentre coloro che sono alloggiati nelle palazzine o negli uffici dei padiglioni sono: sistemati bene, ed alcuni anche elegantemente, gli altri hanno alloggi di fortuna e di miseria.

E certo non era impresa facile tramezzare i cameroni, e ricavar delle stanze. Sono ricorsi a soluzioni di ripiego, e quali permettevano le loro possibilità e i loro mezzi: travicelli e traverse in legno e pareti di carta. Altri hanno occupato il camerone così com’è: ma resta, oltre a tutto, l’inconveniente gravissimo del riscaldamento. C’è chi s’è sistemato nei locali dei lavandini e se non ci fosse il muretto di sostegno delle vaschette, sarebbero ancora gli alloggi migliori.

Sarebbe però proprio urgente e desiderabile che un qualche Ente, o governativo o privato, si assumesse l’onere della manutenzione delle Casermette, perché l’incuria porterebbe presto alla rovina di questi edifici, che sono di costruzione recente e bella; e che con non molta spesa potrebbero diventare alloggi comodi, decorosi e sai. Di più hanno la possibilità di avere un, po’ d’orticello; ed ho constatato che alcuni di questi orti sono tenuti con cura e con eleganza.

Agli abitanti delle Casermette rinnovo il saluto ed il benvenuto che diedi in chiesa quando le prime famiglie vennero a stabilirvisi. Lo so che c’è molto male, e che hanno una cattiva fama questo Casermette: ma ci sono anche tante famiglie buone; e poi più che della cattiva volontà, c’è della incomprensione verso la Religione; incomprensione che nella miseria trova occasione ed incentivo. Ad ogni modo le Casermette sono una parte non piccola della mia parrocchia; ed io le debbo amare così come sono: e porto nella mia anima un grande desiderio di bene per loro: bene materiale, e spirituale.

Don Mosso, 1947